L'ospedale
di Codogno
Attorno alla metà del XV secolo, grazie al lascito di un
privato, la città di Codogno risultava dotata di un piccolo ospedale, dedicato
a san Tommaso. Esso era creato per accogliere sia i pellegrini sia i poveri
bisognosi e malati indigenti, offrendo loro ospitalità, cure e denaro fino al
1775, anno in cui si decise di sopprimere tale istituto. Un secondo ospedale
era invece sorto nel 1681, per volontà testamentaria di Carlo Maria Belloni, il
quale diede in dotazione una sua casa e alcuni fondi, per ricoverare gli
abitanti di Codogno, che necessitassero di sostentamento e medicamenti. Questo
ente, il cui giuspatronato era affidato agli eredi maschi primogeniti della
famiglia, nel luglio 1768 fu unito a un terzo ospedale, gestito dalla
confraternita della Santissima Trinità e fondato cinquantatré anni prima con un
lascito di Francesco Maria Brambati. La fusione dei due istituti caritatevoli
non solo permise di migliorare i servizi erogati ai malati, ma segnò anche
l'atto di fondazione del futuro ospedale civico di Codogno.
Gli spazi che questo nuovo ente aveva a disposizione
risultarono però presto insufficienti e si cominciò quindi a pensare di
costruire un nuovo edificio, adatto a ospitare un numero maggiore di pazienti.
Nel mese di marzo 1777 gli amministratori dell'ospedale resero dunque noto di
voler "trasportare detto Ospitale fuori dell'abitato mediante l'acquisto di un
campo di vicinanza dell'oratorio di San Gregorio ... in sito d'aria più salubre".
Si procedette così all'acquisto, per 5300 lire, di un terreno di circa 14
pertiche, appartenente ai fratelli Griffini. Contemporaneamente si facevano
anche stimare dall'ingegnere Francesco Cremonesi i "corpi di case posti in
Codogno ... di ragione del Luogo pio [l'ospedale degli infermi, N.d.R] ... qual volta il medesimo ... si
determinasse di passare alla vendita de medesimi", per sopperire alle numerose
spese necessarie per la costruzione del nuovo edificio. Il vecchio fabbricato
dell'ospedale, collocato nel centro abitato, in uno stabile che apparteneva ai
Belloni, venne quindi messo all'asta il 22 luglio 1777 e fu aggiudicato a
Camillo Bezza per 1010 doppie di Spagna. Di questa vendita era stato informato
il regio delegato Giovanni Bovara, il quale, in una lettera indirizzata agli
inizi di agosto all'amministratore dell'ospedale di Codogno, Giuseppe Francesco
Belloni, espresse il suo parere anche in merito alla scelta dell'architetto, a
cui si sarebbero potuti assegnare i lavori. "Per rapporto al disegno ho
pensato, che sarebbe meglio servirsi di qualche valente architetto del
Vicinato; Poiché verrebbe troppo impostare la spesa se dovessimo adoperare un
Milanese. In questo sentimento concorre anche il Signor Sindaco Dragoni, che ...
mi parlò di un architetto Piacentino, a suo parere ottimo all'intento. Faccia
dunque ella unitamente a Deputati ciò, che stimerà più conducente al miglior
servigio dell'Ospitale".
Negli ultimi mesi del 1777 gli amministratori dell'ospedale
si occuparono di alcune questioni relative all'organizzazione degli imminenti
lavori. Il 3 ottobre venne infatti concessa l'indulgenza episcopale a tutti
coloro, che sarebbero stati impiegati nella costruzione del nuovo ospedale
anche durante i giorni di festa, mentre nel mese di dicembre fu stipulato un
accordo con il "fornasaro" Pietro Gallozza, per la fornitura della calcina
necessaria al cantiere a partire dal mese di marzo del successivo anno. Nel
frattempo cominciavano a giungere anche i primi disegni esecutivi per il nuovo
stabile, come l'anonimo progetto che Francesco Cremonesi consegnò ai "Signori Regenti
dell'Ospitale di Codogno" il 27 gennaio 1778. Si trattava di un'idea d'una
fabbrica Ospitalizia per i poveri infermi esposta in quattro distinti fogli ...
con la minuta della spesa più necessaria". L'ignoto autore, oltre a sperare che
il suo disegno potesse essere approvato, "stimolato dal dolce amore della
Patria, e dal piacere di vedere i suoi compatrioti operai impiegati nella
direzione e costruzione di fabbrica si necessaria e salutevole, offre ... lire
tre mille da sborsarsi rateatamente", ossia mille lire per ognuno dei tre anni
che erano stimati per il completamento dell'edificio. Purtroppo null'altro si
sa di questo singolare progettista, il quale, più che un architetto di
professione, sembrerebbe essere un mecenate indigeno, dilettante di architettura.
Ci sono però giunti i suoi quattro disegni e la relativa nota delle spese,
ammontante a poco meno di sessanta mila lire. L'autore aveva progettato un
ospedale a forma di croce, con due bracci orizzontali e con un prospetto
costituito da una teoria di finestre, interrotta al centro dall'entrata e
conclusa ai lati da dei portoni ad arco. L'ingresso principale era segnato da
una struttura molto simile alla facciata di una chiesa cinquecentesca, con due
ordini sovrapposti di doppie paraste, inframezzate dalle aperture e conclusi in
alto da un frontone. Dai disegni pervenuti si deduce inoltre che l'edificio
fosse provvisto complessivamente di quattro piani, di cui uno sotterraneo.
Non potendo purtroppo gli amministratori dell'ospedale
cominciare i lavori di edificazione del nuovo stabile entro i termini richiesti
dall'anonimo autore e non sapendo "quali riflessioni abbi potuto meritare" un
simile progetto, essi stabilirono di non prendere in quel momento decisioni in
merito alla questione. L'anno successivo però, essi riuscirono a "fare la
provista dei necessari materiali, e formare un fondo per incominciare, e
terminare tanta parte del nuovo Ospitale bastevole al ricovero del presentaneo
numero degl'Infermi. Prima però di porre mano all'opera umiliano all'Altezza
Vostra Reale il Disegno della nuova fabbrica dello stesso Spedale, fatto da
Felice Soave Architetto, e professore del Disegno sul Regio Orfanotrofio di
Milano; ed approvato, per ciò che riguarda gli effetti medici del Regio
professore Moscati". Non si sa purtroppo quali siano stati i passaggi, che
abbiano portato l'amministrazione dell'ospedale a rivolgersi a Felice Soave e
ad assegnarli l'incarico. Egli all'epoca era ancora poco noto, avendo solamente
realizzato a Milano il Palazzo Anguissola, ma fu forse proprio per questo
motivo che venne scelto il suo disegno. Si potrebbe ipotizzare che il suo nome
venne fatto dallo stesso Bovara, il quale un paio di anni prima aveva suggerito
agli amministratori dell'ospedale di servirsi di un architetto locale, poiché
sarebbe costato meno di uno milanese. In questo caso però l'architetto pur
avendo già lavorato nella capitale, non aveva ancora raggiunto la notorietà,
che lo avrebbe reso troppo caro. Non si deve inoltre dimenticare che Bovara,
occupandosi di riforme scolastiche per il governo asburgico, molto
probabilmente conosceva il pedagogo Francesco Soave, fratello dell'architetto,
anch'egli impiegato dal governo in ambito scolastico. Questi
avrebbe così potuto chiedere a Bovara di aiutarlo a trovare un lavoro per il
fratello e lo stesso Bovara, alcuni anni più tardi, fece costruire il suo
palazzo milanese proprio da Felice Soave.
Il Reale Governo concesse il permesso per l'esecuzione dei
lavori nell'aprile 1779 e nei mesi successivi giunsero agli amministratori le
offerte per la fornitura di colonne, basi, capitelli e architravi, necessari
alla costruzione dell'atrio del nuovo ospedale. Il disegno di Felice Soave
prevedeva infatti al centro del prospetto un pronao sopraelevato, formato da
quattro colonne e due pilastri laterali, che segnava l'ingresso dell'edificio.
Quest'ultimo, secondo i progetti originali dell'architetto, avrebbe dovuto
avere un impianto a croce di tipo rinascimentale, con due corpi di fabbrica
principali paralleli, ambedue muniti al centro di una cappella e collegati fra
loro da tre ali perpendicolari, secondarie.
Il prospetto odierno corrisponde in gran parte a quando
ideato nell'ultimo quarto del XVIII secolo. Esso è infatti percorso, ai due
lati dell'ingresso, da una serie di dieci finestre al piano terra con
altrettante aperture per i sotterranei, mentre nelle più alte crociere si
trovano nove finestre ciascuna. Anche il bugnato, che segna i margini dei corpi
di fabbrica inferiore e superiore, è presente del disegno originale, mentre
variano leggermente, rispetto a quest'ultimo, le forme di alcuni particolari,
quali le aperture delle lanterne ai lati della cupola e le lastre di copertura
della medesima. È inoltre differente l'impostazione delle decorazioni nelle
ultime finestre della facciata e mancano i due grossi vasi, che dovevano
decorare gli estremi dell'avancorpo.
Il progetto di Felice Soave venne iniziato nel 1779, allo
scadere del mese di aprile, e fu concluso l'11 novembre 1781. In questo breve
lasso di tempo furono realizzati il pronao, la cappella con lo spazio
retrostante (sala operatoria) e la parte del corpo principale, estesa da ambo i
lati fino alla terza finestra. L'edificio così costruito, di forma pressoché
cubica, risultava incompleto rispetto al disegno originale, ma capace di
accogliere il numero di malati presenti all'epoca nella città. A causa della
mancanza di fondi e dell'avvento della rivoluzione francese i lavori vennero
quindi interrotti. Essi furono ripresi nel XIX secolo, seguendo le linee guida
del progetto neoclassico, per cui ancora oggi l'impianto dell'edificio ha un aspetto
molto simile rispetto a quello originario, ma, non essendo mai stato
integralmente compiuto, mostra una semplice forma a "U".
Lo stabile risulta caratterizzato dall'uso massiccio del
mattone a vista. Una simile scelta, quasi del tutto assente nella produzione
dell'architetto, fu probabilmente dettata dalla committenza e godeva di
notevoli esempi nella stessa Codogno. Il cotto si ritrovava infatti nella
facciata cinquecentesca della chiesa parrocchiale e nel santuario della Madonna
di Caravaggio, costruito nel primo quarto del XVIII secolo a poca distanza
dall'ospedale e sulla medesima traiettoria.
L'impiego di questo materiale conferisce un aspetto severo
all'edificio, di cui i cronisti ottocenteschi ammiravano "l'eleganza e la
bellezza del disegno", "la felice simmetria delle linee", nonché la "gravità
elegante ... che corrispose pienamente sia ai precetti dell'estetica, sia alle
esigenze imperiose dell'uso pel quale sorse".
Felice Soave creò quindi un'architettura funzionale e
utile, non priva però di eleganza. Il portico, sorretto da quattro colonne
doriche, è dotato di cinque porte e due finestre, incorniciate tutte da una
semplice modanatura con orecchie angolari. L'ingresso principale è sormontato
da un'iscrizione in latino, in cui si ricorda il trasferimento del vecchio
ospedale dal centro abitato verso un luogo più salubre, che avvenne sotto la
protezione dei santi Giuseppe e Carlo, ai quali è dedicata la cappella sita al
centro dell'edificio. Essa è a pianta circolare ed è costituita internamente da
otto lesene scanalate con capitello corinzio, che si alterano a nicchie. Queste
ultime sono caratterizzate da doppie finestre sulle diagonali, mentre sugli
assi ortogonali all'ingresso si trovano due porte (frontalmente e a sinistra) e
una nicchia murata (a destra), dove un tempo era collocato l'altare. Una
trabeazione con fregio a ovoli conduce al tamburo, in cui si aprono otto oculi,
che si susseguono ciechi, in relazione alle porte del piano inferiore, e
finestrati, quelli trasversali. La cupola si suddivide infine in otto spicchi e
nervature decorate a stucco con motivi fitomorfi e a grottesca, i quali si
ritrovano anche nel tiburio e nelle calotte delle nicchie sottostanti, sulle
cui arcate vi sono dei pannelli, abbelliti con due rami di ulivo uniti da un
nastro.
Esternamente la struttura della cappella risulta la parte
maggiormente caratterizzata dell'intero edificio. Oltre all'imponente portico
neoclassico, qui infatti si erge la cupola, che spicca per una particolare
colorazione, dovuta alla copertura con lastre di rame, mentre i mattoni, che
generalmente sono usati a vista, in questa area vengono nascosti da uno strato
di intonaco chiaro, che ricopre il tamburo e le lanterne. La cappella è inoltre
collocata esattamente al centro dell'edificio e si apre, tramite porte e
finestre, verso le corsie dove si trovavano gli ammalati, ai quali non venivano
soltanto prestate cure mediche, ma anche e soprattutto assistenza spirituale.
Gli infermi erano dunque ospitati nei due bracci dell'ospedale, suddivisi
longitudinalmente in tre aree: quelle laterali erano costituite da una serie di
spazi di piccole dimensioni e non molto alti, mentre al centro si apriva un
ampio ed elevato corridoio, coronato da nove finestre per lato, che rendevano
le corsie assai luminose e mantenevano l'ambiente salubre. Delle lanterne erano
quindi in grado di fornire ulteriore luce all'edificio; esse fungevano da
strutture di raccordo fra la cappella e gli spazi attigui ed erano sostenute da
serliane con colonne in granito rosa, che si ripetevano nell'ultima campata dei
due lunghi corridoi, dove il soffitto, più basso, era voltato ai lati e
decorato con una cupola a catino al centro.
L'insieme degli elementi costituenti l'edificio ospedaliero
era quindi composto in maniera da assicurare una suddivisione armonica e
simmetrica di tutti gli spazi, che risultavano così funzionali allo scopo per
cui erano stati creati e al contempo non privi di decoro e valore artistico.
Questa situazione rimase finché lo stabile, progettato da Felice Soave, non
cessò di svolgere la sua attività. Nel 1938 infatti l'ingegnere Cesare Chiodi
aveva progettato il nuovo ospedale civico di Codogno e la struttura neoclassica
venne quindi abbandonata per un certo periodo e utilizzata per ospitare aziende
sfollate da Milano durante la Seconda guerra mondiale.
Il "vecchio ospedale" fu dichiarato edificio di interesse
artistico e storico con decreto ministeriale del 12 gennaio 1949 e
successivamente venne acquistato dall'industria alimentare S.L.I.A., che lo
adattò alla nuova destinazione d'uso. Per creare un secondo piano, in cui
collocare gli uffici, l'ala destra del fabbricato fu così tagliata in altezza e
la corrispondente lanterna venne trasformata in un vano per accogliere le
scale, che portavano agli spazi superiori. Le serliane situate presso la
cappella vennero affogate nella muratura e la cappella stessa fu sconsacrata,
distruggendo l'altare, mentre i vasti sotterranei vennero alterati
dall'inserimento dei muri divisori. La S.L.I.A. (Sicule Lombarde Industrie Associate)
fallì nel marzo 1967 e dovette quindi mettere all'asta l'edificio di cui era
divenuta proprietaria. Tale decisione innescò un vivace dibattito, che
coinvolse sia la giunta comunale di Codogno sia i semplici cittadini, fra cui
il pittore Giuseppe Novello, il quale scrisse un'accorata lettera al sindaco
della città, temendo che il vecchio ospedale potesse fare la fine del teatro
sociale, andato distrutto nei mesi di aprile e maggio 1966, dopo un lungo
periodo di abbandono. Non essendovi però disponibilità per rilevare
immediatamente lo stabile, esso rimase in disuso per diverso tempo, finché il
comune procedette al suo acquisto con delibera del 20 giugno 1972. L'ala destra
dell'ufficio venne in quel periodo adattata per accogliere le scuole elementari
e materna, mentre il braccio a sinistra della cappella, ancora negli anni
Ottanta, versava in stato di degrado e abbandono, essendo utilizzato come
magazzino comunale.
Una lunga e vasta campagna di restauri venne però iniziata
nell'ultimo decennio del XX secolo, per cui attualmente la struttura,
denominata "vecchio ospedale Soave", accoglie vari servizi comunali e spazi
ricreativi. Al piano terra dell'ala destra, perpendicolare al corpo principale,
si trovano infatti gli uffici della Pubblica istruzione, della Cultura, dello
Sport e la Civica Biblioteca Popolare "Luigi Ricca"; nell'opposta ala sinistra
è invece situata la scuola materna. Al piano superiore destro, sul fronte
principale, è quindi collocato l'Ufficio Tecnico, mentre la cappella e il
braccio a sinistra di quest'ultima vengono impiegati per manifestazioni
culturali ed esposizioni temporanee.
Al fine di completare l'imponente opera di recupero
dell'intero stabile, grazie alla quale si è permesso alla cittadinanza di poter
ammirare ancora oggi un edificio di pregio architettonico, che all'epoca della
costruzione era subito apparso innovativo - mescolando austerità e funzionalità
all'eleganza e alla bellezza - sarebbe auspicabile che in un prossimo futuro
possano essere restaurati anche i sotterranei dell'ala sinistra, lungo la
fronte principale, e della cappella, i quali, malgrado l'odierno stato di
abbandono, risultano dei luoghi di notevole interesse e valore.
Paola Capozza "Carlo Felice Soave. Architetto neoclassico"
ediz. New Press - estratto pag. 162-173
Nella presente trascrizione sono state tralasciate le note.
Vedasi volume depositato presso la Civica Biblioteca "Popolare - Luigi Ricca"
di Codogno - coll. 720.92 CAP
P.S. la scuola materna è stata spostata dall'edificio
nell'anno scolastico 2017-8. Ora è denominata Infanzia
Garibaldi